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Come si mangia in Starfield: insetti, cubi di proteine e carne sintetica nel gioco più atteso di sempre

pubblicata il 06.09.2023

È il videogioco dell’anno, ambientato in un mondo immaginario creato con enorme attenzione ai dettagli. Iniziando dal cibo, fra spezzatino di carne aliena e spaghetti alla carbonara. Dove però il guanciale non è proprio guanciale

Vogliono rubarci le nostre tradizioni e farci mangiare alghe, grilli, vermi e carne sintetica”, si legge spesso nei commenti sui social network quando si parla dei cosiddetti novel food e del cibo del futuro. E in effetti alghe, grilli, vermi e carne sintetica sono proprio quello che si mangia nel futuro immaginato da Starfield, il videogioco più atteso del 2023.

Starfield, disponibile esclusivamente per PC e Xbox, è quello che si definisce un action GDR. Si tratta di gioco di ruolo di fantascienza ambientato nel 2330 in un mondo composto da un migliaio di pianeti che il giocatore può esplorare a suo piacimento e in cui svolgere missioni, affrontare nemici, innamorarsi, sposarsi, comprare casa e vivere una sorta di vita parallela, diventando man mano più forte e più bravo per affrontare missioni più complesse e nemici più agguerriti. In Starfield si può fare tutto questo ma ci si può anche sedere al ristorante e mangiare. Alghe, grilli, vermi e carne sintetica, ovviamente.

Un futuro credibile, forse anche nel cibo

Uno dei punti di forza di Starfield è il realismo: gli sviluppatori hanno parlato del concetto di “estetica Nasa-punk” per sottolineare l’intenzione di creare sì un’opera di fantasia ma con riferimenti al possibile, a quello che la scienza potrebbe (forse) permettere di fare nell’arco dei prossimi 300 anni. E così le astronavi, pur essendo astronavi, danno la sensazione di essere vere: non quelle di Star Wars ma quelle che appunto la Nasa potrebbe usare davvero per i prossimi viaggi dell’umanità nello Spazio.

Allo stesso modo, il mondo di gioco sembra un posto vero anche dal punto di vista dell’architettura, dell’abbigliamento, dei mezzi di trasporto e dei robot che sono ormai integrati nella vita delle persone. E le tante città più o meno grandi che punteggiano i vari pianeti, dall’avveniristica New Atlantis alla decadente Neon, da Akila alla lussureggiante Paradiso, sono popolate di negozi, banche, abitazioni, bar e ristoranti che potrebbero davvero essere quelli che i nostri eredi troveranno fra qualche centinaio di anni su Marte o chissà dove.

I creatori di Starfield si sono insomma impegnati per creare un mondo simulato ma realistico, e ad aumentare la sensazione di immersività contribuiscono le tante attenzioni dedicate al cibo.

Mangiare a cubetti

In Starfield, come in altri videogiochi del genere, non si mangia per piacere ma per necessità: il cibo serve principalmente per recuperare le energie, i punti di vitalità persi durante uno scontro a fuoco con un nemico o in una caduta rovinosa da un’altura. Si mangia per restare vivi, insomma.

Alla base della catena alimentare, il cuore della dieta di ogni esploratore spaziale che si rispetti è costituito dai prodotti di un’azienda (inventata) che nel gioco si chiama Chunks. In inglese, questa parola significa “pezzo” o il più gergale “tocco”: l’espressione colloquiale “dammi un pezzo di quello” si traduce appunto in “gimme a chunk of that”. L’azienda si chiama Chunks perché quello che vende sono proprio tocchi di roba, cubetti proteici, confezionati “con sigilli di freschezza” (come da descrizione) e disponibili in vari gusti. Nei nostri giri fra le stelle ne abbiamo contati una dozzina, al sapore di mela, patate al forno, manzo, zucca, cheesecake, uovo in camicia, cioccolato, pollo alla piastra, bistecca con formaggio e anche cola zero e vino (è l’ormai rinomato Chunks Cabernet).

Mangi un cubo di Chunks e sei a posto per un po’, oppure ti rivolgi a una delle tante altre compagnie presenti in Starfield: bevi un caffè in uno dei punti vendita di TerraBrew o anche un tranquillitea, un té chiaramente deteinato e con effetti calmanti. Magari per accompagnare una porzione di affettato Multi Synthmeat o un hamburger di carne sintetica, entrambi prodotti da Synthameat e parte della linea Butcher’s Best. Il meglio “dell’amico macellaio” e “a base di carne premium”: perché in futuro ci nutriremo magari davvero di carne coltivata, però il marketing la farà ancora da padrone.

Gli effetti della carne (aliena) sulla gente

Un dettaglio importante da tenere presente, quando in Starfield si decide che cosa mangiare, è che cibi diversi hanno conseguenze diverse sul proprio personaggio: tutti ripristinano quantità più o meno grandi di salute, ma molti hanno anche effetti collaterali, quasi sempre benefici. Per esempio, il Chunks Cabernet scioglie la lingua (proprio come il vino vero), permette di essere più persuasivi con i personaggi controllati dal computer, ma dà anche qualche minuto di affaticamento e il polpettone (non si capisce bene di cosa) aumenta l’ossigenazione del sangue.

Sarebbe però ingiusto scrivere che nell’ultimo videogioco di Bethesda non c’è spazio per la tradizione: accanto ai cubi proteici e alle monoporzioni di “vermi alieni fritti e speziati” ci sono anche molto piatti tipici della Terra, solo che non sono esattamente come dovrebbero essere. C’è lo spezzatino, ma è fatto di carne aliena (e verdura, perché anche nello Spazio le fibre restano importanti); c’è la frittura di carne al salto, ma anche qui la provenienza è aliena; ci sono i cioccolatini Cioccolabrador, ma sono un po’ inquietanti perché “a forma di una razza canina estinta”.

Tantissimo Giappone e tanta Italia

Viaggiando da un pianeta all’altro, visitando le città, gli avamposti in angoli sperduti della galassia, i centri di ricerca scientifica abbandonati da tempo, quel che sembra di capire è che nel futuro immaginato dagli sviluppatori di Starfield si salveranno solo due tradizioni culinarie: quella giapponese e quella italiana.

Del Paese del Sol levante (che nel gioco non esiste praticamente più) restano piatti pronti a base di alghe, miso, tofu, sushi e altro pesce crudo. Del nostro Paese abbiamo notato due primi amatissimi: ci sono le pappardelle alla bolognese, che sarebbero addirittura fatte con vero ragù e fra l’altro sono fra i cibi con gli effetti positivi maggiori, e pure gli spaghetti alla carbonara. Realizzati però con uova, pepe e un non meglio precisato “equivalente alieno del guanciale”. Speriamo che non se ne accorga il ministro Lollobrigida.

Emanuele Capone

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