Attualità

Ovetti Kinder e salmonella, 4 domande a Ferrero: “Mai sottovalutato il rischio”

pubblicata il 26.04.2022

Abbiamo chiesto all’azienda di aiutarci a sciogliere alcuni dubbi su questo caso delicato: ecco cosa ci hanno detto.

Come è potuto succedere? Perché è passato così tanto tempo fra il primo allarme e i primi ritiri dei prodotti dal mercato? E anche: quando finirà questa emergenza? Da quando in Italia si parla del caso degli Ovetti Kinder e della salmonella, sono forse queste le domande più ricorrenti: ce le facciamo noi e soprattutto se le fanno i nostri lettori. E quindi abbiamo pensato di rivolgerle direttamente agli interessati, cioè a Ferrero.

Dall’azienda di Alba, la prima risposta che ci hanno dato è stata però a una domanda che non abbiamo posto: “In Italia al momento non è stato rilevato alcun caso”, ci hanno detto. Il riferimento è al sospetto che riguardava due bimbi di Ravenna, fratello e sorella, stati male dopo avere mangiato cioccolata da un ovetto: i carabinieri avevano sequestrato il prodotto, ma le analisi realizzate all'Istituto zooprofilattico di Bologna hanno dato esito negativo. Che è una gran bella notizia, anche se non scioglie il primo dubbio: com'è potuto accadere tutto questo?

Com’è potuto succedere?

Da Ferrero ci hanno ricordato una cosa che un po’ sapevamo già, ma che è bene sottolineare: “Come si usa dire, la salmonellosi è una brutta bestia, è difficile da individuare e difficile da debellare quando trovata. Ogni anno, solo in Europa ci sono oltre 90mila casi accertati: il batterio si trova nell’ambiente, entra nel ciclo produttivo attraverso le materie prime, le persone possono entrarci in contatto perché toccano qualcosa di contaminato”. È un problema che capita, ancora di più se si lavora nell’industria alimentare, anche se a Ferrero una cosa così non era mai capitata, in quasi 80 anni di attività: “In quei rari casi, di solito si riesce ad arginare tutto prima che i prodotti arrivino sul mercato, che è quello che abbiamo provato a fare a dicembre”. Mancavano una decina di giorni a Natale e lo stabilimento belga di Arlon, quello da cui proviene la cioccolata incriminata, venne fermato e sanificato da cima a fondo e tutta la produzione eliminata. Solo che non è bastato.

Cos’è successo fra dicembre e aprile?

“D’accordo con le autorità sanitarie del Belgio, abbiamo stoppato la produzione ad Arlon, dove produciamo da oltre cinquant’anni”, ci hanno confermato dall’azienda. E però, fra metà dicembre e inizio aprile, quando l’allarme è arrivato in Gran Bretagna e Francia (e poi di conseguenza in Italia) sono passati quasi 4 mesi: cos’è stato fatto in quel periodo? Perché si è aspettato tanto per intervenire sul mercato? Non è che il problema è stato sottovalutato? “No, non abbiamo sottovalutato nulla - ci hanno risposto con decisione da Ferrero - Non l’abbiamo fatto sia perché non vogliamo che i clienti corrano il pur minimo rischio sia perché non ce lo possiamo permettere, perché andremmo incontro a conseguenze penali, d’immagine e commerciali cui non vogliamo andare incontro”.

E allora che è successo? “A dicembre il problema sembrava risolto, dunque ad Arlon il lavoro è ripreso e i prodotti sono stati spediti nei molti Paesi in cui vengono commercializzati, ma è un’operazione che richiede tempo: per la distribuzione, per l’arrivo nei negozi, perché le persone li acquistino, li mangino e poi eventualmente manifestino qualche problema”. Questo intervallo di tempo, quello che passa fra quando la cioccolata viene prodotta, spedita all’estero, esposta in un supermercato, comprata, portata a casa, messa in dispensa e poi alla fine mangiata, è quello che ha probabilmente impedito a Ferrero di accorgersi prima del fatto che il problema era tutt’altro che risolto.

Quando usciremo da questa situazione?

Un altro motivo, collegato alla questione precedente, è che alcuni di quei prodotti erano destinati alla Pasqua, cosa che ha ritardato ulteriormente i tempi di commercializzazione e consumo. Non per l’Italia, che è un dettaglio cui in Ferrero tengono comprensibilmente molto: “Tutte le uova GranSorpresa destinate al nostro Paese sono fatte ad Alba”, ci hanno confermato. In generale, comunque, da Arlon arriva molto poco sul nostro mercato: “Lo stabilimento rappresenta il 7% dell’intera produzione Ferrero, ma una percentuale minuscola per il mercato italiano”. A confermarlo c’è il fatto che i prodotti ritirati nel nostro Paese sono appena “lo 0,02% della movimentazione annuale di quello che destiniamo all’Italia”.

Numeri molto piccoli (e anche notizie in qualche modo rassicuranti, come il fatto che “non sono mai stati trovati prodotti positivi alla salmonella, ma solo il batterio in chi li aveva consumati”), però la tempesta non sembra ancora passata: “L’impianto in Belgio è ancora fermo e probabilmente lo resterà ancora per qualche settimana, d’accordo con i sindacati e con le autorità. Vogliamo sanificare di nuovo tutto sin nei minimi dettagli, se necessario smontare i macchinari e rimontarli”. Quanto tempo servirà? Stime parlano di una riapertura intorno alla fine di maggio, ma su questo non c’è ancora molta certezza. Dopo quello che è accaduto a dicembre, l’azienda vuole evidentemente agire con maggiore prudenza.

Qual è la lezione imparata?

Il punto qui è che “la cautela non basta mai”, come ci hanno risposto da Ferrero quando abbiamo chiesto come faranno tesoro di questa brutta esperienza: “La nostra attenzione è sempre alta, altissima. Ci sono fasi del processo produttivo in cui facciamo controlli anche 30 volte più severi e accurati di quello che prevede la legge, ma questi incidenti possono capitare”. Che non è una giustificazione, perché l’azienda ci è apparsa tutt’altro che indulgente con se stessa: “A dicembre è evidentemente sfuggito qualcosa, ma sembrava tutto a posto e abbiamo riaperto. Che altro potevamo fare?”. È anche per questo che “siamo molto, molto dispiaciuti. Soprattutto perché la maggior parte di questi prodotti sono destinati ai bambini: è vero che sono pochi casi, ma per noi e per la nostra storia, anche uno è troppo”.

Emanuele Capone

Condividi

LEGGI ANCHE