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Il grano ucraino è bloccato nei porti: è un problema per noi, ma soprattutto per l’Africa

pubblicata il 09.06.2022

Il tema è ancora al centro dell'attenzione: ecco gli ultimi aggiornamenti con le possibili soluzioni per uscire dalla crisi messe in campo da governi e forze diplomatiche. 

Già lo scorso ottobre si temeva che sarebbe successo e si immaginava che “la situazione diventerà drammatica e che le scorte di cibo, soprattutto in certe aree del mondo, inizieranno a scarseggiare”: da allora sono passati 8 mesi e quella previsione, fatta quando il problema del mondo era “solo” la pandemia, si è purtroppo avverata.

Ora c’è anche la guerra e il punto sta proprio qui, perché il problema riguarda grano e mais, di cui Russia e Ucraina rappresentano circa il 30% e circa il 20% delle esportazioni mondiali. E fra coltivazioni che non vengono raccolte, campi che non vengono coltivati (e quindi la prossima stagione non daranno frutti) e navi cariche di merce che non possono lasciare i porti a causa del conflitto, inizia a diventare un gran bel problema. Un problema per tutti, ma soprattutto per i Paesi in via di sviluppo.

L’Africa e la questione del grano ucraino

Secondo i dati ONU, riferiti al 2020, in Ucraina vengono raccolte ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di mais e circa 25 milioni di tonnellate di grano e il direttore del Programma Alimentare delle Nazioni unite, Martin Frick, ha ricordato che in questo momento almeno 4,5 milioni di tonnellate di grano sono bloccate nei container nei porti ucraini: “Questo grano non può essere utilizzato, è semplicemente fermo lì”. 

È fermo lì e non serve a nessuno, anche se potrebbe servire a tantissime persone: sempre l'ONU ha ricordato che a inizio 2022 si contavano circa 280 milioni di “persone costrette alla fame”, una cifra che “potrebbe aumentare di altri 44 milioni con il proseguimento della guerra”, con conseguenze soprattutto nell'Africa subsahariana. Molti Paesi del Nord Africa dipendono per la loro fornitura di cibo dal grano ucraino, che è abbondante e costa relativamente poco: Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ha sottolineato che in Africa “ci sono Stati che sono abituati a importare fino all’80-90% di grano da Ucraina e Russia e si ritrovano di fronte a un blocco”.

Insomma: si ritrovano con meno cibo da mangiare, e probabilmente sarà così anche sul lungo periodo. Perché? Banalmente, perché se i porti ucraini non dovessero riaprire, i container partire e i magazzini venire svuotati, i contadini non avranno posti dove conservare i prossimi raccolti (luglio e agosto 2022), con il rischio  che tonnellate di grano vadano perdute.

Che è un problema anche perché è diventato un problema coltivarlo, il grano: dall’Ucraina, molti Paesi africani importano pure fertilizzanti e concimi, cosa che ora è diventato più complicato fare. Come abbiamo già raccontato, anche l’Italia è in difficoltà da questo punto di vista: nel nostro Paese, il costo di questi prodotti è aumentato in media dell’80% (con picchi anche del +180%) e c’è la possibilità, sempre secondo Coldiretti, di “non averne la disponibilità durante il periodo estivo o nel prossimo autunno”.

Le possibili soluzioni per uscire dalla crisi

Da settimane, la questione del grano ucraino è diventata centrale: se ne stanno occupando i politici di vari Stati dell’Occidente, ma ne ha parlato spesso pure il Papa che ha invitato a fare qualcosa per risolvere il problema. Il punto è che non è ben chiaro come riuscire a fare quello che si dovrebbe fare.

Da quel che si capisce, il primo passaggio riguarda sminare il mar Nero: è qui che si affaccia Odessa, la città dell’Ucraina occidentale da cui passa la quasi totalità del grano prodotto nel Paese. Nei giorni iniziali del conflitto, lo specchio acqueo è stato minato proprio dall’Ucraina per evitare che le navi da guerra russe potessero usarlo per portare avanti un’invasione. Nel corso della seconda settimana di giugno, la Turchia ha fatto sapere che avrebbe raggiunto un accordo con la Russia per occuparsi proprio dello sminamento: le navi cargo su cui si trova il grano potrebbero così lasciare Odessa e verrebbero accompagnate dalla Marina turca in acque neutrali. Tutto risolto, allora? Non proprio, perché la guerra c’è ancora, e il mar Nero senza mine potrebbe essere un problema per l’Ucraina: per dare il suo via libera, il Paese di Zelensky ha chiesto alcune garanzie, relative soprattutto al fatto che la Russia non approfitti di questo “corridoio” per attaccare i suoi porti, e anche che l’ONU si occupi della sicurezza della popolazione. Il problema è che la Russia si è finora rifiutata di promettere che non approfitterà dello sblocco dei porti per invadere Odessa. Sin che questa cosa non si risolve, è difficile che si possa davvero arrivare a una soluzione. E non è vero, come si legge sui social network, che “se passano le armi che mandiamo in Ucraina, allora può passare anche il grano”: come si capisce, non solo le rotte sono diverse (via terra/aereo oppure via mare), ma anche il trasporto di alimenti dev’essere fatto rispettando norme e regolamenti che ne garantiscano la corretta conservazione. Perché qui non si parla di fucili, lanciarazzi o droni, ma di cibo che le persone devono poter mangiare.

L’impatto sull’Italia: non solo un problema alimentare

Non è finita perchè, questa situazione ha ripercussioni anche sull’Italia e in generale sull’Occidente: anche da noi i prezzi salgono e alcune materie prime iniziano a scarseggiare, perché più o meno l'80% dell'export globale passa proprio per Odessa e il mar Nero, che è (era) una rotta veloce e conveniente. E però, il nostro Paese ha ovviamente più mezzi e più possibilità per uscire da queste difficoltà, trovando alternative sul mercato globale. L’Africa no, e questo rende la questione africana in qualche modo più grave.

Ma non c’è solo questo, e non è solo una questione di solidarietà umana. Che succede quando mancano le materie prime? Che i prezzi dei beni salgono e l’inflazione aumenta, che è una cosa che sta già accadendo (per esempio) in Sudafrica, Zimbabwe e Sierra Leone. E che succede quando i prezzi aumentano? Che cresce l’insofferenza delle persone: sempre da Coldiretti hanno sottolineato di temere che “in questi Paesi potranno esserci anche disordini di carattere civile a causa della mancanza dei prodotti alimentari”. Parere simile hanno espresso sia Raymond Gilpin, responsabile ONU del Programma Sviluppo in Africa (secondo cui “le tensioni, nelle aree urbane e nelle comunità a basso reddito potrebbero portare a proteste e rivolte violente”), sia Antonio Tajani, eurodeputato di Forza Italia, che di recente ha invitato a prestare “attenzione a quello che succederà in Africa”, perché “se non arriveranno farina e grano ai Paesi più in difficoltà, avremo rivolte sociali e avremo nuovi flussi migratori”. 

Che è un altro dei motivi per cui il fatto che il prezzo del cibo non sia mai stato così alto a livello mondiale è un problema che riguarda tutti.

Emanuele Capone

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