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Cosa sono le giuggiole, che sapore hanno e come si mangiano. E perché ci rendono felici

pubblicata il 06.11.2023

Un albero tenace e un frutto antico. Le giuggiole sono frutti dolci e pieni di buone qualità. Ci ricordano che l'estate è finita ma sanno farci perdere letteralmente la testa

Si può andare in brodo di giuggiole oppure mandarci qualcuno, la condizione è molto piacevole, quasi esagerata, accade quando la contentezza sconfina nell’eccesso e ci gongoliamo per le ragioni più varie, per amore, per un successo o un complimento, persino per aver assaggiato qualcosa di una bontà fuori dal comune. Ma cosa sono le giuggiole e perché si dice così? E poi, esiste davvero il brodo di giuggiole?  

Il giuggiolo e le giuggiole

Il giuggiolo l’hanno introdotto i Romani nel Mediterraneo dall’Asia Centrale, ma la terra d’origine sembra sia l’Africa. La stagione d’oro di questa pianta, in Italia, inizia con i mercanti veneziani, in laguna, grazie a viaggi e commerci. Come per il pomodoro, i frutti del giuggiolo dapprincipio venivano guardati con diffidenza, lo si usava come pianta ornamentale o ancora per segnare i confini e proteggere dal vento.

Se la sua storia viene da lontano la sua fama non è mai esplosa, è da sempre una pianta minore, perché poco coltivata. Cresce generosa nella produzione di frutti anche spontaneamente, ma le giuggiole non sono mai state popolari nel nostro paese se non per il celebre motto.

Il giuggiolo (Ziziphus Jujuba) è una pianta resistente che non chiede molto, preferisce i climi miti e vince i terreni più difficili, anche aridi e sassosi. Ha bisogno di poca acqua e non agevola la raccolta che avviene a mano, per via delle sue tante spine. Potremmo dire che è una pianta tenace, longeva e resiliente. Se per noi è quasi sconosciuta, nel Corano si cita un giuggiolo imponente sul quale le foglie nascono, crescono e cadono contemporaneamente a ogni uomo. In Himalaya, invece, ai fiori del giuggiolo viene attribuito il potere di far innamorare. La simbologia che si legge intorno a questa pianta e ai suoi frutti è molto potente, e va dalla fertilità all’immortalità e persino al silenzio.

I frutti sono piccoli, delle drupe, e quando maturano sono di color rosso-marrone, a vederle somigliano a delle mele con la dimensione delle olive. Anche l’interno è simile a quello di una mela, bianco giallastro ma con un unico seme. Il sapore è dolce acidulo ma più maturano più si accentua la componente dolce. Noterete che la pelle si raggrinzisce e sono meno croccanti ma non per questo si smette di mangiarle, anzi, se da sode rimandano alla mela anche nel sapore, da mature e un po’ rugose ricordano i datteri (tanto che vengono chiamate anche dattero cinese).

Le giuggiole sono frutti che celebrano la fine dell’estate, si raccolgono a partire da settembre, nei mesi autunnali, tanto che a inizio ottobre (tra la prima e la seconda domenica del mese) si tiene la festa delle giuggiole ad Arquà Petrarca. Sono infatti i Colli Euganei la terra della migliore qualità di giuggiole in Italia.

In cucina

Si consumano anche crude ma due sono i loro principali impieghi, le confetture e i liquori, come il suddetto brodo di giuggiole, che non è mitologico ma esiste. È un liquore che viene prodotto proprio ad Arquà, dal colore ambrato, con un profumo intenso e una dolcezza decisa. Si consuma dopocena, liscio o con ghiaccio. Se ne raccomanda l’abbinamento con i formaggi, con i dolci a base di frutta secca e con il gelato. La sua ‘promozione’ è attribuita alla famiglia Gonzaga in epoca rinascimentale. Le giuggiole si conservano e consumano anche sotto spirito.

Le giuggiole fanno bene

100 g di giuggiole apportano circa 80 calorie. Molto usate nella medicina cinese per placare l’ansia e l’insonnia, le giuggiole aiutano la digestione e l’equilibrio intestinale. Hanno proprietà antiossidanti e grazie al calcio favoriscono la salute delle ossa e dei denti. Dai tannini che contengono deriva una proprietà antinfiammatoria e antiemorragica.

Le motivazioni dell’espressione ‘andare in brodo di giuggiole’ ce le spiega in un dettagliato articolo Alice Mazzanti, per l’Accademia della Crusca. ”Immediato il collegamento tra la dolcezza dei preparati a base di giuggiola, unita alle proprietà curative, e il modo di dire in questione: il massimo della piacevolezza per le papille gustative e per la salute verrebbe a indicare, per analogia, l’apice (o l’eccesso) della contentezza”. Insieme a una esaustiva nota storica ed etimologica. Apprendiamo che si poteva andare anche “in brodo di fagioli, di gnocchi, di ravioli, di pane, di rape, di ceci, di cicciole”. Molto meno poetico però.

Annalisa Musso

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