IGT Venezia Giulia Moscato rosa Rosantico - Fulvio Bressan 2011

Si fanno strane cose alla vigilia di un San Valentino che si sa già che non si potrà trascorrere con la propria Lei, perché trattasi ancora di amore… clandestino (la rima, lo giuro, è venuta fuori così, senza volere). Innanzitutto si “sanvalentineggia” il 13, e lo si fa veramente alla grande, stappando, come nel mio caso, Lei ne va pazza e io pure, due Champagne Rosé con i controfiocchi, un Rosé de Saigné Pinot noir 100% di Fleury, pioniere della biodinamica in Champagne, e un Rosé incredibile di Encry, dove il Pinot nero è solo un 5%, ma vinificato in rosso e di Bouzy, mentre lo Chardonnay dominante con il suo 95% è nientemeno che di Mesnil-sur-Oger.

E poi, anche se sai che lei non ama i dolci, uno strano sesto senso ti può indurre a portare con te una certa bottiglia, perché non si sa mai, e scoprire che lei, tesoro, ti ha preparato una torta di mele con un cuore in mezzo e che il formaggio di capra che le avevi preso al mercato è ancora lì, tutto da mangiare…

E così in quella vigilia di San Valentino un po’ galeotta e piena d’amore, decidi di stapparla quella bottiglia speciale, indefinibile, irriducibile a categorie precise: rosato? Vino dolce? Vino da meditazione? Per poi scoprire che a lei, che non beve vini dolci e nemmeno vini rossi, ma adora i rosati (e le bollicine), quel vino stranissimo, “una delle cose più strane che io abbia mai bevuto, mi dice”, ovvero il Venezia Giulia Moscato rosa Rosantico 2011 Fulvio Bressan, le piace.

Allora tu cosa hai fatto, ormai catturato in questa atmosfera un po’ da film? Prendi il telefono e provi a chiamare, come faccio ogni tanto, pour rigoler, direbbero i francesi, il suo autore, quel “vigneron maudit” di un Fulvio Bressan, e lui ti risponde, immagina un po’?, nientemeno che dal Giappone dove chissà quali sfracelli sta combinando e a quali rivoluzioni sta istigando i propri interlocutori…

Fiabe enoiche a parte, merito dei due Champagne, uno più strepitoso dell’altro (prossimamente ne leggerete magari qui, oppure su Lemillebolleblog) la serata è stata enoicamente memorabile, anche grazie a ‘sto Moscato Rosa del Bressan.

Ora, prima che qualche ipercilioso alzi il ditino ed eccepisca, voglio subito dire che come ho già fatto altrove, io rivendico il pieno diritto di scrivere dei vini di Fulvio qualsiasi opinione lui abbia espresso, come cittadino, non come produttore. Voglio restituire Fulvio al discorso sul vino. Voglio che di lui si torni a parlare unicamente per il suo lavoro, serio, in vigna e cantina. Anche perché sono suo amico e per me, e per lui, l’amicizia ha un significato autentico e non è una parola vuota. E come amico so valutare (e comportarmi di conseguenza) gli eventuali errori che fa e so giudicare i suoi vini senza che l’amicizia mi faccia velo.

Peraltro, anche se improbabilmente diventassi suo “nemico”, non vedo come potrei giudicare meno che strepitoso questo vino che Fulvio, assistito e “moderato” da quella santa (e bella) donna di sua moglie, Jelena Misina, e da quel fantastico personaggio che è il suo babbo Nereo, già macellaio a Gorizia, produce da qualche tempo, da un vecchio vigneto di oltre 30 anni che produce poco. E per di più un poco reso ancora più poco dall’alto livello di colatura delle uve di Moscato rosa e dalla bassa allegagione, ovvero, un po’ di tecnica, scusate, quel momento delicato della fioritura della vite, “in cui i fiori, decine e decine in ogni grappolino, si aprono, o meglio, perdono il cappuccio di petali che li proteggeva. Le parti maschile e femminile di ogni fiore vengono così in contatto con l’ambiente esterno in modo che il polline, trasportato dal vento o da insetti possa arrivare sull’ovario e fecondare i gameti femminili al suo interno, dando vita all’embrione e ai tessuti del seme che lo proteggerà”.

Morale, la resa per questa uva è di 300-400 grammi per ceppo, ovvero venti quintali per ettaro. E poi Bressan, anche senza avere, o cercare, la certificazione biologica, è uno che in vigna lavora davvero in maniera rispettosa e delicata, utilizzando solo rame e zolfo di miniera, senza aggiunta di prodotti chimici e senza irrigazione. E questa filosofia non interventista che guida i Bressan in vigna li guida nelle fasi della vinificazione durante le quali vengono “valorizzate al massimo le particolarità aromatiche custodite gelosamente nelle nostre uve”.

Se si aggiunge poi il terroir su cui conta la maison di Farra d’Isonzo, con vigneti che si trovano su una specie di larga “altura” ghiaiosa, che si erge a circa 18 - 20 metri di altezza, rispetto ad una terra più bassa ed umida, che viene definita appunto “bassa friulana”, una ghiaia che assorbendo il calore del sole e riflettendolo durante la notte contribuisce anche ad un miglioramento sostanziale nella maturazione dei grappoli ed “essendo molto permeabile, consente all’acqua di drenare ai livelli più bassi, dove argille e marne arenarie la catturano, garantendo così un minimo sostentamento alle viti, (le più vecchie si insinuano nei meandri più reconditi del sottosuolo, fino anche a 5 metri di profondità) anche quando le siccità estive proibiscono di trovare dell’acqua” ecco spiegate, génie du terroir e génie dell’uomo Bressan in gioco, le qualità, eccelse dei vini Bressan.

E nella fattispecie di questo Moscato rosa vinificato secco, prodotto con una breve macerazione sulle bucce degli acini a bacca rossa per conferire il tipico colore rosato e i caratteristici aromi, con fermentazione condotta con lieviti indigeni e nessuna filtrazione e affinamento solo in acciaio.

E alla fine, abbinandolo sul formaggio di capra, dove si sposava meravigliosamente, poi provandolo sulla sua torta, squisita, e quindi gustandolo da solo ed evocando Veronelli, che un vino del genere avrebbe amato senza esitazioni, di slancio, abbiamo trovato stre-pi-to-so questo Moscato rosa con gli attributi, ben lontano dall’idea di Moscato rossa un po’ dolcione e morbidone, tutto profumi e niente carattere che gira e che altri produttori, non Bressan, prediligono.

Già il colore fa andare fuori di testa, tra la granatina ed il cerasuolo, rubino scarico, brillante, pieno di riflessi, ma appena porti il naso al bicchiere, mamma mia che naso fantasmagorico, da effetti speciali, tutto striature dense e succulente di aromi in esercizi a corpo libero, liquirizia nera, ribes, fragoline di bosco, rose (ma gialle, dice lei) un accenno di amaretto e di papavero, e poi, man mano, pietra, accenni selvatici, ferrosi, di terra e cacao. E tabacco e accenni cuoiosi.

E perché non annotare anche “variazioni” su prugna secca, mandorle, albicocca secca, cioccolato e una leggera componente alcolica che non disturba ma c’è?

La cosa divertente, che ha scioccato lei, che sentendolo così opulento e quasi grasso nei profumi non si aspettava di trovarlo così una volta passata ad assaggiarlo, è il gusto, virilmente secco, sensuale, deciso, fondente, suadente tutto polvere di cacao e terra, largo, salato, minerale.

Un Moscato Rosa alla Bressan, o meglio alla Celentano, da “carezza in un pugno”: “cattivo come adesso non lo sono stato mai, e quando mezzanotte viene, se davvero mi vuoi bene, pensami mezz'ora almeno, e dal pugno chiuso una carezza nascerà”…