Ormai è chiaro. All’Etna, alla magnifica zona presidiata dalla “muntagna”, ormai bisogna mettersi in testa di guardare con attenta ammirazione (si può dire?) non solo per bianchi da invecchiamento affilati, sapidi e minerali com’altri pochi e per rossi dotati di una eleganza e di un sense of terroir quasi borgognoni, ma anche per ottimi, esemplari, vini rosati. La conferma di questa evidenza l’ho avuta il 21 gennaio partecipando presso il Devero Hotel di Cavenago, nel cui ristorante officia lo chef Enrico Bartolini, ad una presentazione alla stampa dei vini di quell’importatore e distributore d’eccellenza che è Luca Cuzziol.
Mi ci ero recato pronto a deliziarmi con il Fiano di Marsella, i Franciacorta di Derbusco Cives, i bianchi e l’ottimo Pinot nero di Masut da Rive, la Petite Arvine di Ottin, dei tanti vini esteri - limitandomi a citare gli Champagne di Bruno e Alice Paillard, e gli alsaziani di Deiss - e ho fatto due ferali scoperte. Che o sono rimbambito io o Marco Parusso si sta mettendo (finalmente) a fare dei Barolo che meritano ascolto (quanto meno quello di chi, come me, non li ha mai amati). E che sull’Etna una piccola azienda familiare “che cerca di esaltare al massimo l’identità del territorio, nel pieno rispetto della tradizione”, fa vini, e segnatamente un rosato da Nerello Mascalese coltivato sul versante nord est, che mi piacciono assai.
Ho voluto riassaggiare il rosato, due giorni dopo la “rivelazione”: l’azienda in oggetto si chiama Pietradolce, ed è condotta dalla famiglia Faro ed in particolare da Michele Faro che ho incontrato al tasting di Cuzziol. E' nata nel 2005 e si giova di dieci ettari posti tra 600 e 800 metri di altezza, con terreni di natura franco sabbiosa con abbondante presenza di scheletro ed elementi minerali suddivisi nei poderi denominati Marchesa, Moganazzi, Chiusa Spagnolo, tutti coltivati esclusivamente a Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante.
Non so molto di questa cantina: il sito Internet aziendale, dove si gustano splendide foto in bianco e nero della tenuta, forse non è aggiornatissimo, visto che parla esclusivamente dell’Archineri Etna Rosso e non del rosato, dell’ottimo Etna bianco (da un vigneto del 1902!) dell’Etna Rosso e del Vigna Barbagalli Etna rosso, che completano la gamma. Vi ho letto affermazioni di principio che mi rassicurano e rallegrano il cuore, visto che parlano di “un amore per la nostra terra grande quanto il rispetto che le portiamo: ecco il cuore della nostra filosofia”. E poi dicono che “il nostro vino è frutto della nostra terra prima ancora che delle nostre mani. Per questo esso rappresenta nitidamente l’anima del vulcano alle cui pendici prende vita. Il nostro lavoro è finalizzato a preservare intatta quest’anima in tutta la sua vivacità”.
Ma quello che più mi ha parlato al cuore è stato il Pietradolce rosato 2011 (grande curiosità per l’assaggio, che farò tra qualche mese, del 2012), macerazione a contatto delle bucce per sei ore, che mi ha subito stregato per la bella etichetta e poi, stappata la bottiglia, per il colore più che buccia di cipolla direi decisamente granato (il colore dei grandi rosati dell’Etna), luminoso, e per il naso vulcano-espressivo, assolutamente petroso, nervoso, di grande finezza e profondità, pieno di sale, tutto pietra e ribes, e agrumi, e fiori di zagara, dotato di un nerbo preciso e insinuante.
Bella anche la bocca, larga, piena, succosa il giusto, piena di sapore, con una nitida vena acida e salata che spinge, una bella rotondità del frutto, una godibile pienezza di sapore. Un vino, prezzo intorno ai 7,50 euro franco listino, perfetto per l’abbinamento ad una gamma vastissima di piatti della cucina primaverile ed estiva del Sud, che sogno di testare su una parmigiana di melanzane o una pasta alla Norma di stretta osservanza sicula… Magari gustata su quella “muntagna” dove devo confessare vergognandomi un poco di non avere ancora messo piede…
