Nella storia degli ultimi vent’anni del percorso compiuto dalla Franciacorta, il “caso” Ferghettina ha rappresentato uno degli episodi di crescita più importanti. Che il proprietario, Roberto Gatti, fosse un abile viticoltore, e che avesse maturato lunghe importanti esperienze in due significative aziende locali non c’erano dubbi, ma che in poco più di vent’anni, dal 1992 in cui scelse di fondare una propria azienda partendo da soli quattro ettari iniziali, potesse raggiungere gli attuali numeri, che parlano di circa 160 ettari vitati di proprietà distribuiti in nove comuni diversi, di una produzione intorno alle 350 mila bottiglie (300 mila delle quali di Franciacorta) e di una mega cantina ad Adro alle pendici del Monte Alto inaugurata nel 2005, pochi sarebbero stati disposti a scommetterlo.
Ovviamente non tutte le uve coltivate sono destinate alla produzione a marchio Ferghettina e gran parte delle uve, grazie al loro valore e all’abilità di viticoltore di Gatti, sono vendute (e pagate bene) ad altre aziende della zona. Uno dei grandi segreti, forse il principale, del successo è il lavoro d’équipe svolto dall’azienda, che nella fattispecie significa grande lavoro familiare, perché a Gatti e alla moglie Andreina si sono aggiunti nel tempo, fatte le loro esperienze di formazione in cantina e compiuti gli studi in enologia, i figli Laura e Matteo, che hanno portato idee fresche e la volontà di sperimentare strade nuove come nel caso delle discusse bottiglie a sezione “quadrata”, che pure sono servite a far parlare di sé e catturare ulteriore attenzione sull’azienda.
Quel che più che conta però è che date le considerevoli dimensioni e una gamma abbastanza ampia (c’è anche un Pas Dosé riserva che riposa 80 mesi sui lieviti) di prodotti tutti i Franciacorta alle varie prove assaggio risultano sempre impeccabilmente ben fatti, piacevoli tanto da essere appealing il giusto, calibrati e mai banali e in alcun casi di ottimo livello, come nel caso dell’Extra Brut millesimato. E anche il Brut base, con il suo bel paglierino oro intenso consistente nel bicchiere, il perlage sottile, il naso secco e deciso con agrumi fiori bianchi crosta di pane in evidenza, la bocca molto rotonda, succosa, con una buona ricchezza di frutto molto equilibrato e una vena di mandorla salata finale, è un bere sicuro, considerato che se ne producono duecentomila pezzi.
Nel mio ultimo assaggio ad avermi impressionato molto bene è stata anche la tipologia per la quale notoriamente non “vado matto”, il Satèn, con l’annata 2009, uno Chardonnay in purezza con sboccatura maggio 2013, un parziale affinamento delle basi in legno, 36 mesi trascorsi sui lieviti ed un dosaggio degli zuccheri per litro intorno al 7,5. Bello il colore, un paglierino di media intensità con leggere vene verdoline, sottile il perlage, naso abbastanza maturo, ricco, fruttato, con mela e pesca bianca, ananas e pompelmo in evidenza con una buona fragranza e freschezza. Bocca molto stile Satèn, cremosa ampia ricca suadente sul palato, con una buona morbidezza avvolgente ha continuità e personalità, apprezzabile freschezza e nerbo e un retrogusto che richiama agrumi e mandorle piuttosto piacevole. Un Satèn facile da approcciare sicuramente ben fatto.
