Agitando il bicchiere, mi impongo un vincolo definitivo: non scrivere mai, nelle prossime venti righe, "è giovane". Perchè un Nebbiolo di cinqu'anni lo sa pure il mio catenaccio per la bicicletta che è giovine quindi: o non lo bevi, o se lo bevi te lo godi nella sua gioventù.
Perchè il Brunate Le Coste è capace di farsi godere, anche in gioventù: soprattutto se non hai quella gran fretta di labbrarlo, e non hai quell'ansia di servirlo torrido. Ecco, la temperatura serotina di questo settembre sfiora l'anatema della perfezione.
Il colore è bello vivo, scarlatto e rubino, appena più ombroso nel cuore. Il profumo è schietto, austero, quasi disegnato sulla silhouette dell'etichetta: vintage quanto si può. Dentro il bicchiere i profumi stretti e decisi, forti di spirito, chiari i frutti rossi (che dici, il ribes rosso? il lampone? la susina? mah, la susina forse ma ben matura). Poi la chiosa chiama ancora qualcosa di animale, nobilmente selvatico.
E tutto risale nel sorso, che si strugge di franchezze: appena più tondo di quel che t'aspetti. Poi un crescere d'alcool e di tannini, così eleganti da incutere un filo di rispetto. Anzi, a tratti addirittura sottili. Poi il termine s'aggrappa e s'allarga, dilatandosi in un finale che se non è lunghissimo è almeno risoluto, come un saluto d'addio.
Bicchiere che quando è vuoto, ti spiace.
