Ecco, al bevitore testardamente innamorato - contro ogni logica - delle realtà piccole, piccolissime e minime vien subito l'attacco ischemico a sentir parlare di 2000 ettari: un'estensione rilevantissima, frammentata in 1300 soci conferitori. Altri dunque i valori da perseguire, che non siano l'identità parcellare ma un indirizzo comune.
Ecco tra le molte etichette di questa cooperativa nata nel 1948 la linea Campe Dhei, tra cui questo autero Raboso. Oscuro e sanguinoso da far temere impatti cremosi e dilaganti marmellosità. Sbagliato.
Il Raboso che hai nel bicchiere passa in barrique per "alcuni anni" dice la scheda tecnica, ma non bastano per domare il carattere nervoso, a tratti scorbutico del ruticissimo vitigno: forse per reclamare la sua strenua resistenza alle estati desertiche. Avverti le dolci memorie legnose, mitigate da rimandi silvani e selvatici: poi la marasca, poi l'inchiostro, poi il tabacco forte, poi il cartone bagnato. Solo alla fine un rimando di cantina profonda, dove l'ombra e l'umido sono di casa.
Ma tutto si tiene con l'assaggio quando una carica di tannini convinta ma misurata conduce il sorso tra le braccia di un finale elettrico, teso, nel finale trafitto da un punto sottilissimo amarostico. Ancora il legno, palese in uscita.
Bicchiere bevibile, notabile tra i tanti.
