Dicevamo di quei birrifici di cui si sente parlare poco nonostante l'indubbia qualità della produzione. Eccone un altro. Il brianzolo Carrobiolo appartiene a quella categoria, poco avvistato ai festival e nelle discussioni, non fra i più assidui alle spine dei locali "di grido", non per questo meno interessante di altri produttori più mediatici e di culto. Si sta ingrandendo ed è probabile che col nuovo impianto sarà meno improbo incontrarlo ad di fuori della terra natia.
La scarsa propensione alla visibilità si percepisce già dai nomi sulle etichette, O.G. seguito da un numero, dove la sigla sta per Original Gravity e il numero indica il contenuto zuccherino del mosto. Massimo rispetto per un scelta così tecnica ma indubbiamente l'appeal è quello che è in questi tempi vacui dove l'apparenza già non è più nulla rispetto alla comunicazione, figuriamoci al contenuto. Di certo ricordare quei nomi è una vera impresa, specialmente per quelli come me perennemente in carestia di neuroni e che si trovano costretti a razionarli per sacrificarli a compiti più alti rispetto a quelli mnemonici.
O.G. 1056 è una Pilsner, più vicina alle interpretazioni tedesche che a quelle di alcuni capiscuola italiani - le cosiddette Italian Pils. Tradotto vuol dire che il luppolo c'è e si sente, peraltro ben più di quanto normalmente potreste trovare in una classica bavarese contemporanea, ma la parte aromatica non è così accentuata come in altre produzioni nazionali e resta ancorata alla sobria eleganza e all'equilibrio mitteleuropeo. Anche la scelta dei cereali è atipica, contenendo oltre al classico malto Pilsner una percentuale di frumento che comunque non snatura stilisticamente il prodotto. Si presenta non perfettamente trasparente come i dogmi stilistici vorrebbero e come l'industria ci ha abituato bensì con una lieve velatura che io trovo confortante e sinonimo di integrità. La schiuma è pannosa e abbondante come si conviene, mentre il colore dorato preannuncia un corpo di media struttura, adatto ad equilibrare un amaro elegante ma piuttosto intenso. Le caratteristiche olfattive sono quelle che ci si possono attendere da una Pils, lo stile meno adatto a descrizioni pindariche e roboanti: la trama del miele d'acacia si interseca con l'erbaceo del nobile luppolo Saaz scelto per questa birra e che dona sentori di erba appena falciata e floreali. Un millimetro sopra le righe il lievito, con un lieve accenno di banana. In bocca è secca, pulita e rinfrescante, equilibrata nell'apporto aromatico del luppolo, incisivo ma non deflagrante, mentre la chiusura vira su un bell'amaro ripulente. Il successo di una Pils si valuta prima di tutto nella sua beverinità, nella durata del suo stazionare nel bicchiere, e qui il mezzo litro ha i secondi contati.
Stile all'apparenza facile, in realtà davvero complicato nella realizzazione tecnica dove ogni minima incertezza rischia di apparire in tutta la sua nudità nel risultato finale, le Pilsner sono un vero banco di prova dell'abilità di un birraio. Direi che qui la scommessa è ampiamente vinta.
