 "Hopfelia - Foglie d'erba")
Nuovo impianto produttivo per Foglie D’Erba in quel di Forni di Sopra, 1000 mt s.l.m. nel cuore delle Dolomiti friulane. Il birrificio di Gino Perissutti, di nascita piuttosto recente poiché parliamo del 2008, si rivelò al mondo degli appassionati e degli addetti ai lavori a Rimini nel 2011 durante Pianeta Birra – o meglio Selezione Birra, ma cambiando la fiera nome ogni anno con quello storico ci si continua ad intendere – con le sue birre all’americana ricche di carattere e luppolature agrumate e resinose, rivelazione che culminò quello stesso anno sull’onda del favorevole stupore con la vittoria del titolo di “Birraio dell’Anno” nel concorso per esperti del settore indetto da Fermento Birra. L’essere fra i pochi interpreti italiani davvero fedeli al canovaccio dei migliori esemplari di American Pale Ale e IPA della West Coast, le birre che hanno dominato la moda nel mondo artigianale degli ultimi 5 anni, lo ha reso in breve tempo un produttore di culto, decentrato, ricercato, osannato, infine consacrato su quello che è il massimo palcoscenico nazionale per l’amaro e le luppolature, Roma e i suoi locali ovviamente. La capacità produttiva ridotta e qualche limite tecnico del vecchio stabilimento ne hanno però per lungo tempo limitato il raggio di azione nonché procurato qualche problema di incostanza. Ora finalmente la svolta: nuovo sito produttivo, nuove grafiche, anche nuove birre, ma senza abbandonare ovviamente i cavalli di battaglia.
I nuovi impianti sono da sempre croce e delizia di ogni birraio artigianale nonché fonte di qualche leggenda più o meno accreditata: da un lato la spinta dell’innovazione, tecnologie più avanzate e soluzioni cucite su esigenze specifiche del birraio, la possibilità di produrre di più e meglio senza colli di bottiglia sulla capacità produttiva, dall’altro la sensibilità nel “prendere la mano” con la nuova sala cottura e la cantina, il tempo necessario per tararsi. Si sprecano le sentenze su birre che “non sono state più state le stesse” dopo il grande salto, quanto le storie di mesi e mesi, se non anni, per assestare le vecchie ricette al nuovo birrificio. C’è una buona dose di mitologia in tutto questo ovviamente, anche se guidare una MotoGP dopo stagioni di Moto2 richiede un minimo di adattamento.
Ho avuto modo di provare buona parte delle produzioni sul nuovo impianto e iniziamo subito col fissare un punto: sono birre ottime, probabilmente addirittura migliori che in passato. C’è una differenza sostanziale: col nuovo impianto Gino ha scelto di non filtrare più le sue birre che in precedenza avevano un aspetto molto limpido, cristallino. La scelta si vede, nella lieve velatura, e si sente, in un prodotto più ricco. Qua si entra in un terreno minato, dove ognuno porta le proprie convinzioni a favore o contro la neutralità o meno della filtratura rispetto al risultato finale. Io non posso fare altro che esporre i miei dogmi a cui invito tutti quanti ad aderire ciecamente: pur non essendo contrario a priori verso una filtrazione lasca e moderata, trovo che esista un trade off fra limpidezza e complessità organolettica, vale a dire oltre un certo livello di finezza in filtrazione, verso la limpidezza assoluta e industriale, non ti lasci dietro solo lievito e proteine, ma anche sapore. Non posso quindi che applaudire una scelta più rispettosa dell’integralità del prodotto, che beninteso deve comunque conservare un aspetto decoroso, pulito, non a caso Foglie D’Erba utilizza comunque dei chiarificanti a fine fermentazione. Dopo i primi assaggi ho avuto modo di tornare con più calma sulla Hopfelia, la West Coast IPA di Foglie D’Erba. Quando si legge West Coast non bisogna attendersi una semplice American IPA magari di quelle toste, ma proprio una vagonata irruenta di luppolo nello spirito della costa pacifica. L’aspetto lambisce l’aranciato, quindi ancora ampiamente nel territorio visivo del “pale”, sebbene non chiaro e dorato come alcuni esempi classici, risultato dell’impiego di diversi malti nella miscela: oltre al classico Pilsner, alla dolcezza, al caramello e alle lievi tostature del Crystal, vengono utilizzati anche malti base di tipo “Pale” che donano una punta di colore in più del Pilsner e quella crosta di pane che riporta il baricentro verso le origini britanniche dello stile, o quantomeno verso le interpretazioni della East Coast meno estreme e più rotonde. L’impatto luppolato però è roboante e chiaramente californiano, certo non privo di quell’arguta eleganza lontana dal caricaturale che è marchio delle migliori – e poche ahimè – esecuzioni italiane dello stile, si rivela nel dialogo fra agrume, con mandarino protagonista, un tropicale di mango e soprattutto balsamico e resinoso.
L’esaustivo elenco degli ingredienti recita ben sette luppoli che comprendono non solo alcune varietà classiche americane, ma anche alcune europee: evidente l’intento di creare un bouquet che sullo sfondo mostra quindi anche sentori erbacei, di quello che gli americani chiamano dunk e che in italiano non ho altro modo di tradurre che sentore di marjuana, quindi pesca, timo. In bocca insieme al miele emerge quella crosta di pane e quel lieve tostato che portano questa IPA americana ad incarnare suggestioni inglesi, mentre il corpo è assolutamente corretto ed equilibrato, a cavallo fra secchezza, attenuazione e quella dolcezza necessaria ad equilibrare un amaro intenso sì, ma non al punto da scardinare le papille. Chiude con una buona persistenza e senza astringenze. Una volta la ricetta elencava anche l’ingrediente territoriale, la resina di pino mugo, che oggi non comprare più nella brochure peraltro molto completa: lecito attendersi un cambio di ricetta, il resinoso d’altro canto è ampiamente rappresentato da alcune delle varietà di luppolo utilizzante. West Coast IPA robusta ma piuttosto personale, si pone senza problemi ai vertici fra gli esempi nazionali.
