Il fatto che
il n’y a de Champagne que de la Champagne, ovvero che lo Champagne – elementare Watson – nasce solo in Champagne, ovvero in quella regione precisa e determinata del nord della Francia e basta, mi è tornato di un’evidenza solare la scorsa, settimana, nonostante mi trovassi a più di venti metri di profondità nel
dedalo di 47 crayères collegate tra loro da gallerie, in quel posto magico, che tale mi appariva già prima di cominciare a degustare, che sono les caves della premiata Maison Charles Heidsieck fondata in quel di Reims nel 1775 e poi in un secondo momento nel 1851.
Aggirandomi per le gallerie, respirando l’aria, non perdendomi un solo scorcio di queste pareti gessose scavate nella craie, in questa materia che si trova solo qui (e che noi in Italia ci sogniamo…) e che conferisce ai vini un carattere unico, pensando al lavoro degli antichi romani che scavarono queste cave per ricavare materiale da costruzione, non potevo che trovare irreale chi per il semplice fatto di usare le stesse uve (salvo il Pinot Meunier che noi non abbiamo) e la stessa metodologia di produzione “ciancia” di produrre vini uguali o migliori… Portami della craie, delle cantine naturali come queste a temperatura stabile intorno ai 10 gradi, portami magari un briciolo della storia che hanno queste Maison, della loro notorietà, del valore internazionale di tanti brand, e poi ne potremo parlare… La mia (in compagnia di altri giornalisti esteri e dei responsabili del Comitè Champagne in Italia, Germania, Svizzera, Austria e Regno Unito) da Charles Heidsieck è avvenuta in un momento doppiamente particolare. Dovuto alla fase di rilancio, riposizionamento dell’immagine e delle strategie di marketing (l’export qui conta per il 60%) che si è tradotta anche in nuove bottiglie e nuove etichette, ed un packaging raffinatissimo, ça va sans dire.., e ad un fatto drammatico,
l’improvvisa scomparsa, a soli 55 anni, domenica 5 ottobre dello Chef de cave,
Thierry Rosset, in azienda dal 1988. Una fase di rilancio anche delle cuvées che aveva visto Rosset protagonista.
C’era dunque un’aria un po’ mesta durante la nostra visita, che poi la nostra anfitriona, la bravissima e simpatica Catherine Curie, International Brand Ambassador della Maison, ha saputo tramutare in un’hommage a Thierry di cui avevamo prova nelle bottiglie che via via ci sono state proposte. Tra cui – se mi invidiate avete tutte le ragioni per farlo – due bottiglie della cuvée
Charles datate nientemeno che 1985, prese delicatamente dal sancta santorum dove riposavano e portate in degustazione. Non vi parlerò di queste mirabilie, e tantomeno del Brut millésimé 2005 C.H., splendido, e nemmeno di quel capolavoro di armonia e delicatezza del Blanc des Millenaires 1995, un Blanc de Blanc (da 120 euro) da lasciare senza parole.
Mi piace concentrare l’attenzione sul vino “base” se così si può definirlo, della Maison, visto in enoteca a Reims a 35 euro e importato in Italia, come gli altri vini della Maison, da
Philarmonica di Brescia. Uno Champagne non millesimato, elaborato con vini d’annata per il 60% (di cui 1/3 Chardonnay, 1/3 Pinot Noir e 1/3 Pinot Meunier e ) e per il 40% con vini di riserva (età variante da 10 a 15 anni, la più alta concentrazione di vin de resèrve proposti in una cuvée Brut) in egual proporzione tra Chardonnay e Pinot Noir, mentre il Pinot Meunier non viene utilizzato. I vini dell’annata provengono da 60 cru accuratamente selezionati dallo Chef de Caves. L’affinamento in bottiglia dura almeno 36 mesi, ma nel caso del nostro vino, la mise en cave risaliva al 2008 ed il dégorgement al 2013. Parlando con alcuni cavistes di Reims ho sentito definire questo réserve come uno dei migliori Champagne in rapporto al prezzo, ed un vino che si può consigliare tranquillamente con la sicurezza di fare bella figura.
Splendido il colore, un paglierino oro luminoso e brillante, fine, continuo e sottile il perlage (in Champagne ci si ostina spesso ad usare delle flûtes che non sono proprio il massimo…) e subito un bouquet intenso, elegante, suadente, che ti porta dentro al bicchiere con la propria finezza e fragranza, con note di frutta secca appena tostata, soprattutto la nocciola in evoluzione, cioccolato bianco, alloro, pesca bianca e sfumature che richiamano la pasticceria, il pan brioche, a rincorrersi con complessità e freschezza. Al gusto il vino è perfettamente in linea che le aspettative create nella fase olfattiva: ben secco, profondo, dinamico, di bella energia, spalla salda, pienezza, ricchezza di sapore, persistenza lunga eppure scattante, grazie ad un nerbo acido molto equilibrato, ad una sapidità e una mineralità che mantengono ben teso l’apprezzamento e assicurano, grazie ad un perfetto equilibrio e ad una sorprendente freschezza, una grande beva.
Sorprendente, io personalmente avrei pensato al massimo a 5-6 grammi litro, il dosage degli zuccheri: 11 grammi. Ma questa è la Champagne, mes amis, quel posto dove, come ha notato qualcuno, “les caves sont le miroir du vin”, lo specchio di un terroir e di un savoir faire unici. Chapeau!
