Sono tanti i motivi di interesse di questo vino. Innanzitutto il nome dell’azienda, Pakravan-Papi, che nella prima parte richiama inevitabilmente il nome di una grande scrittrice,
Amineh Pakravan, autrice di uno splendido romanzo come
Il libraio di Amsterdam, iraniana di nascita, laureata in Storia medievale con Georges Duby e da quasi 40 anni in Toscana dove conduce con il marito questa azienda agricola.
Poi l’azienda stessa, posta nella zona settentrionale della Maremma toscana, e la sua antica storia, che risale al Granduca di Toscana e al marchese Ginori, ben ricostruita
sul sito Internet aziendale, situata in una posizione splendida, con “un'ampia veduta che dalla punta di
Castiglioncello, immortalata nelle pitture dei
Macchiaioli, si distende verso il promontorio dell'etrusca
Populonia e da cui lo sguardo può raggiungere
l'isola d'Elba, la
Capraia, la
Gorgona fino alle montagne della
Corsica, accennate all'orizzonte”.
E poi il grande lavoro di recupero fatto dalla proprietà per sottrarre il vecchio podere e i campi alla macchia mediterranea e al bosco, trasformandolo da “luogo selvaggio” in luogo vocatissimo per la viticoltura, baciato da un micro-clima fatto di sole mediterraneo e di brezze marine, di complessità e differenziazione di suoli ricchissimi di minerali, pendii dolci e ben esposti.
E poi il fatto che a suggerirmi di dedicare attenzione a questa azienda sia stata la brava (e affascinante) enologa
Graziana Grassini, sua consulente dal 2004, mentre la parte agronomica è curata da Stefano Pinzauti, e dotata di
un curriculum professionale straordinario.
La chiave di volta per interessarmi a questa azienda che produce svariati altri vini che conto di assaggiare a breve, dal Sangiovese in purezza Gabbriccio, al Merlot Beccacciaia (un altro vino con il suffisso aia: ahia!) al Cabernet (Sauvignon e franc) Cancellaia ad altri vini giocati sul matrimonio, sempre arrischiato, tra Sangiovese e uve bordolesi, sino ad una Malvasia in purezza che davvero m’incuriosisce, è il fatto che il Valdimare, questo il bel nome del vino, dotato di un’etichetta altrettanto bella, sia un Riesling. Renano ovviamente.
Produrre un Riesling in una zona calda come la Toscana mi sembra una scommessa non da poco, più facile da perdere che da vincere, invece…
Bella la storia del vino raccontata dal produttore: “camminando, quattro anni fa, con l’amico agronomo Stefano Pinzauti ai bordi di un uliveto che si sporge sulla Val di Cecina, su una collina da cui la vista spazia verso il mare fino alle isole dell’arcipelago toscano, rimasi colpito da una grossa conchiglia fossile emersa dal terreno appena arato. Stefano si fermò a guardare il fossile. Si accovacciò per meglio esaminarlo, poi prese un po’ di terra e la fece scivolare tra i palmi delle mani, per saggiarne la consistenza. La tastò attentamente schiacciandola tra il pollice e l’indice. “Argille marine - sentenziò -. Ottimo terreno per un grande bianco". Riflettendo, l'agronomo proseguì: “Magari un Riesling, che predilige questi terreni. Certo qui non vi è il clima dell’Alsazia, ma le brezze del mare ed il fresco della valle del Cecina potrebbero aiutare“.
E quanto al nome, eccolo subito individuato: “il piccolo torrente che contorna la proprietà per poi confluire nel fiume Cecina si chiama “Valdimare”, testimonianza della ricchezza di fossili marini della valle da cui raccoglie le acque che lo alimentano. Ecco trovato il giusto nome per questo vino che, in una parola, riassume in modo semplice e compiuto le caratteristiche del suo “terroir”.
Il risultato è un vino, restiamo in Italia e lasciamo stare i Paesi di lingua tedesca, che se anche non raggiunge la mineralità dei migliori Riesling della Val Venosta o della Valle Isarco, o la complessità dei Riesling langhetti di
Vajra ed
Ettore Germano, o di alcuni oltrepadani tipo il
Landò delle Fracce, di grande personalità e molto promettente, almeno a giudicare dalla versione 2012 (bello sarebbe sentire annate precedenti) che ho degustato.
Ottenuta da un vigneto di un ettaro e mezzo, situato a 180 metri di altezza, esposto a nord nord-est, su terreno composto da argilla marina, sedimenti rocciosi, sedimenti fossili marini, con vinificazione che prevede criomacerazione carbonica per 24 ore, fermentazione a temperatura controllata, affinamento in vasche acciaio inox, nei quali avviene la fermentazione malolattica, con periodici rimescolamenti delle fecce fini. Un vino che non è stato filtrato.
Convincere me, che adoro i Riesling, non era difficile, ma aver convinto senza se e senza ma la mia adorata compagna, che pur essendo una bianchista per i Riesling non ha una particolare simpatia, lo considero un personale, simpatico plus.
Bellissimo il colore, un paglierino oro luminoso di bella intensità, una certa grassezza e consistenza nel bicchiere, e subito un profumo ben secco che abbina la mineralità petrosa di questa nobile varietà di uva ad una complessità e solarità tutta mediterranea, con note di agrumi, fieno, pesca noce, mela, fiori bianchi in evidenza, uno spettro ampio, di grande freschezza ed eleganza, molto fine nel suo modo di presentarsi.
Altrettanto secca, ma larga e di notevole impegno, la bocca, con il vino che si dispone caldo e ampio sul palato, con grande equilibrio e classe, sciorinando nel contempo una verticalità lunga, ricca di nerbo e di sapore, articolata e dinamica, scandita da una vivace acidità, da grande sale, da una precisa nota di mandorla e da un retrogusto che ricorda gli agrumi e la scorza di limone in particolare.
Davvero una splendida sorpresa questo Valdimare, una via toscana al Riesling davvero molto personale…
