Per scrivere di questo vino, che mi è piaciuto molto, ho deciso di andare oltre ad una mia ferrea convinzione, ovvero che per produrre grandi o semplicemente buoni rosati italiani non servano le uve internazionali, ma bastino, anzi, siano più che sufficienti, i tanti vitigni autoctoni, locali, di cui dispone il vigneto Italia. Penso, per fare solo qualche esempio, al Montepulciano abruzzese, al Negroamaro o al Bombino nero pugliesi, al Lagrein altoatesino, al Groppello gardesano, al Sangiovese toscano, al Gaglioppo calabrese, al Nero d’Avola siculo. Ne sono persuaso e sfido chiunque a portarmi un rosato migliore dei tanti espressi da queste uve nostre che sia figlio dei soliti Cabernet, Merlot, Syrah, et alia, che hanno invaso, spesso con risultati tutt’altro che esaltanti, le vigne del Bel Paese.
Eppure, nonostante questa tenace convinzione, eccomi qui oggi a parlarvi, e bene, di un rosato dove l’uva toscana per antonomasia, Messer Sangiovese, non agisce da solista, come è avvenuto in una serie di rosati ilcinesi di cui vi ho già parlato in questa rubrica in rosa, ma, anche se nettamente preponderante con una percentuale del 70%, è accompagnata da un 30% di due uve alloctone come Syrah e Merlot. Perché lo faccio? Semplice, perché alla prova dei fatti il vino è buono, piacevolissimo, ben riuscito e perché nella zona dove è prodotto,
Bolgheri (quel nome che basta pronunciare per far sdilinquire di eno libidine tanti appassionati di Bacco, ma non me) quelle uve, e aggiungiamoci poi Cabernet (Sauvignon e Franc) e Petit Verdot (che in Italia a differenza dalla natia Bordeaux dove non lo fa nessuno siamo riusciti a vinificare in purezza: roba da matti…), sono protagoniste e hanno trovato il loro habitat.
Un altro motivo della decisione di parlarvi di questo Bolgheri rosato (e adesso passeranno altri anni prima che torni a scrivere di un vino bolgherese…), è la decisa simpatia per il produttore, che è quel personaggio speciale che corrisponde al nome del varesino di nascita
Michele Satta. Uno così speciale, e determinato e tosto, da risolversi, in seguito all’ottimale andamento della vendemmia 1990, a non buttare “a mare” il Sangiovese, come ha fatto la stragrande maggioranza dei suoi colleghi di Bolgheri e dintorni totalmente convertiti alla causa dei vitigni internazionali, ma di mantenerlo in vigna e di valorizzarlo, tanto da creare un vino, denominato
Cavaliere (è il nome della vigna ‘o bischeri, nessun omaggio a Berlusconi…) che è nientemeno che un
Sangiovese in purezza. Roba che nemmeno a Montalcino, dove c’è qualche testa calda che vorrebbe “maritarlo” (ma che brutto matrimonio sarebbe…) con Merlot et similia. Come non simpatizzare con Satta e inserirlo a pieno diritto nella galleria di quei produttori originali, ha lanciato e valorizzato in zona, trasformandolo in un ottimo bianco,
il Giovin Re, anche il Viognier, che sento vicini per istinto?
Detto della simpatia per Michele Satta, che passin passetto è riuscito a raggiungere la considerevole quota di 30 ettari vitati, con una bella cantina sotto la collina e a contatto con la roccia, eccoci al nostro
Bolgheri rosato, a mio avviso forse il più riuscito tra i vari prodotti nella zona, sicuramente molto di più di uno di una celebre nobile dinastia toscana dove non c’è traccia di Sangiovese, che Satta ed il suo storico enologo consulente, Attilio Pagi, producono con una tecnica che prevede “un contatto con le bucce valutato personalmente per ogni carico di uva ma mai superiore alle tre ore, il mosto viene trattato come i bianchi, usando il controllo delle temperature per la fermentazione e per la decantazione senza chiarifiche”.
Michele Satta lo definisce così: “prodotto in prevalenza con uve Sangiovese, questo vino esprime bene le doti naturali della zona con un insieme di sensazioni gustative complesse, di grande equilibrio e persistenza sempre un po' avvolgenti e morbide”. Al mio assaggio, che ha accompagnato una semplicissima pasta al pomodoro fresco e basilico, con un filo di peperoncino, io l’ho trovato così: colore rosa melograno pallido – buccia di cipolla – cipria di bella brillantezza e luminosità, mostra un naso vivo ben secco, nervoso, di bella tensione ed energia, con sfumature di frutta secca, agrumi, pepe, e solo in secondo piano, dopo i fiori e la macchia mediterranea, la frutta, ovvero ribes e lampone e una nitida ciliegia. Al primo impatto in bocca, dopo una sensazione di buona rotondità e polposità fruttata, una notevole e godibile succosità, un bilanciamento e una piacevolezza che favoriscono la beva, emergono gli aspetti relativi alla sua freschezza, ad un’acidità (grazie Messer Sangiovese!) che ravviva ed equilibra la materia e bilancia l’alcol (sono sempre 13 gradi e mezzo) ad un nerbo vivo, con un bel finale salato e di apprezzabile eleganza.
Ecco i vini di Bolgheri che mi piacciono e porto volentieri sulla mia tavola!
